Steady beat

Amy si trovava seduta su una di quelle vecchie sedie di vimini, nella sua veranda. Guardava il panorama autunnale senza parlare, il silenzio la affascinava e le permetteva di riflettere in pace. Vicino a lei il suo anziano nonno sonnecchiava, dondolato dal vento. Quella sera, Amy si lasciò cullare dalla brezza pungente che le sfiorava appena la pelle, provocandole dei leggeri brividi. Respirava piano, sentiva che l’inverno stava arrivando. Lo  avvertiva dal profumo della pioggia nell’aria e dal rumore delle foglie secche che si spostavano sul cemento. In quel momento quel silenzio e quel profumo di pioggia le ricordarono lui. Si era ripromessa di non pensarlo più, ma c’era qualcosa, nell’aria fredda che le penetrava i polmoni, che glielo aveva riportato alla mente. Si spostò nervosamente i capelli cercando di scacciare quel pensiero, ma ormai non poteva far più niente, era penetrato a fondo e non sarebbe andato via tanto presto. Perciò, senza neanche combattere troppo, si abbandonò ai ricordi. Il profumo di pioggia le ricordò il giorno in cui lo aveva visto per l’ultima volta. Il freddo di quel giorno non lo aveva mai dimenticato. Aveva camminato per ore senza meta non trovando  mai  il coraggio di andare all’appuntamento che si erano dati. Man mano che i ricordi prendevano forma Amy diventata sempre più nervosa, ma chiuse gli occhi per ricordare meglio il viso che un tempo amava. Aveva la pelle chiara e gli occhi scuri, così intensi da penetrarti l’anima con uno sguardo. Era molto più alto di lei e il suo profumo le faceva perdere la ragione. In quel momento aprì gli occhi di botto. La sua mente le aveva fatto un brutto scherzo riportandole vivido il ricordo del suo profumo, e per qualche istante, che sembrò interminabile, lo sentì di nuovo vicino. Troppo vicino. Odiava quella sensazione, quella voragine che tutto d’un tratto le bloccava il respiro risucchiando ogni sua forza dentro un buco nero dal quale non sapeva mai come uscire. Ecco perchè non si lasciava mai andare ai ricordi, perché sapeva che questi la distruggono, la lacerano da dentro portando via tutto. Lasciano solo un vuoto incolmabile e il fiato corto. A quel punto il buco nero aveva già cominciato a risucchiare tutto, sapeva che di lì a poco sarebbe rimasta vuota. Rimaneva solo l’involucro esterno di lei, nient’altro. Così riprese a fissare il panorama aspettando che la voragine si rimarginasse. Adesso pioveva e il profumo della pioggia era forte quasi quanto il rumore delle gocce che si infrangevano per terra. Chiuse di nuovo gli occhi e lascio che il ritmo costante della pioggia regolasse i battiti del suo cuore.

Chronology

Quando aveva cinque anni A. era convita di avere tutto il mondo ai suoi piedi, era convinta che la vita fosse un gioco in cui le bambole erano le sue più care amiche e nessuno l’avrebbe mai delusa. Si sentiva invincibile e con tutta probabilità, a quell’età , lo era veramente. Era sicura che nella vita sarebbe sempre riuscita a fare tutto, a realizzare ogni suo sogno, obiettivo ed ambizione. Era certa che non avrebbe mai commesso nessun errore come quelli che commettevano ” i grandi ” … sarebbe stata, insomma, la donna perfetta.
A dodici anni le convinzioni di A. iniziarono a crollare, molto lentamente, ma si creparono una dopo l’altra, rendendo ogni sua idea fragile come il cristallo. Ogni cosa, di cui fino a pochi anni prima era sicura, era stata messa in discussione da un solo, singolare, unico elemento: l’egoismo. Tutti siamo egoisti, in ogni attimo e per ogni cosa, e questo A. lo aveva capito prima di tanti altri. A sedici anni aveva già commesso diversi errori e dedicava ogni suo giorno a cercare emozioni, era questa l’unica cosa che la rendeva felice. Come ogni ragazza di quell’età, conobbe tanti ragazzi che la corteggiavano e questo la faceva sentire speciale. Poco dopo conobbe l’Amore e da quel momento non si liberò più del bisogno di viverlo e di volerlo a tutti i costi. Questa dipendenza dall’amore la portò a non farne più a meno, lo cercava ovunque. Così, pochi anni dopo, la vita di A. non somigliava neanche lontanamente a quella che lei aveva immaginato da piccola, e tante volte si era chiesta se fosse stata più felice se non avesse dedicato la sua intera vita a cercare emozioni. Me era fatta così, e dopo tanto tempo, imparò anche lei ad accertarsi. Imparò che nessun’altra cosa al mondo la faceva stare bene tanto quanto la ricerca di quelle sensazioni che, a suo dire, la tenevano in vita. Erano il suo nutrimento, e sapeva che le emozioni che cercava erano contenute nelle persone, nei loro sguardi, nelle loro parole , ma anche nelle loro assenze. A. però sapeva che per ogni emozione c’era un pericolo, il rischio di non farcela o di sbagliare , di fallire miseramente senza poter rimediare … ma forse era proprio questa paura che la spingeva ad andare avanti. A vent’anni la situazione era completamente ribaltata. Le sue convinzioni non esistevano più, non era più sicura di nulla e non aveva idea di cosa le avrebbe riservato il futuro. A vent’anni A. era in grado di leggere le persone con uno sguardo, di distinguere il bene dal male, di avere ciò che voleva senza rischiare di farsi male ed era in grado di amare se stessa più degli altri (per quest’ultima ci volle tempo, ma ci era riuscita). Perciò, dopo tutto il tempo passato alla ricerca di quello che la faceva stare bene, A. si guardò indietro … e non ebbe rimpianti.

Survival

Dobbiamo trovare  la forza di non rovinarci la vita da soli. So che sembra assurdo dire una frase così forte, ma è la verità. Siamo attratti dall’errore, dalle cose sbagliate, da quelle adrenaliniche, da quelle strane, da quelle folli o pericolose. NO. Non possiamo permettere che prendano il sopravvento, perché una volta provate sono come delle droghe … creano dipendenza, assuefazione e sono letali. Non credete di averne bisogno, NESSUNO ha bisogno di sbagliare per imparare, possiamo imparare anche solo ragionando o guardandoci intorno… se sbagliamo è solo perché lo vogliamo fare, perché lo abbiamo deciso consapevolmente, perché amiamo l’effetto che gli errori hanno su di noi, anzi, che il dolore ha su di noi.  Ci sentiamo trafitti in posti, dentro di noi, che non sapevamo neanche di avere, e questo ci fa sentire vivi. Sentire che siamo vivi ci rende più forti e più fragili allo stesso tempo … ed è proprio questa la sensazione che crea dipendenza, il fatto che non sappiamo cosa siamo, di cosa abbiamo bisogno, il piacere della ricerca. Il giorno che troveremo la cosa di cui abbiamo bisogno sarà il giorno più bello di tutti, ma anche il più brutto, perché smetteremo di combattere per noi stessi, per il nostro bene ed interesse … ma in compenso dimostreremo coraggio, coraggio da vendere per aver guardato finalmente avanti senza fare più affidamento sul passato. Abbiamo bisogno di farlo, tutti. Il passato è solo un piacevole ricordo nel quale cullarci ogni tanto, ma non possiamo vivere in esso, bisogna andare avanti, sempre, e  avere la speranza di vivere un futuro migliore, con tanta sicurezza e senza guardarci MAI indietro.

Madness

viale_alberato_pavese

A. camminava attraverso un viale abbandonato. Non sapeva dove si trovasse e poco le importava. Avrebbe potuto camminare per ore senza sentire la fatica prendere il sopravvento sul suo corpo, tenendo gli occhi fissi davanti a sé e senza pronunciare alcuna  parola. Nonostante l’aria fredda dell’autunno le calasse addosso inesorabile, non esisteva nulla attorno a lei : le foglie sull’asfalto che rotolavano vorticosamente a causa della brezza gelida, gli alberi che sembravano danzare col vento, la nebbia fina che avvolgeva tutto rendendo il paesaggio surreale. Nulla. Solo un assordante silenzio la accompagnava. A. rimaneva con gli occhi fissi verso l’ignoto. La sua mente era fervida come quella di un bambino, ma i suoi occhi erano spenti, inespressivi, senza vita. Continuava a camminare, troppo lentamente, cercando di scappare da qualcosa che neanche lei conosceva, proprio come le foglie attorno a lei cercavano di scappare dal vento, creando degli incantevoli vortici che si sollevavano dal terreno umido verso il cielo. Pensò che il vento non può vederlo nessuno, a meno che non incontri un ostacolo che non lo riveli. Poi, quell’unico pensiero razionale lasciò nuovamente  posto a pensieri sempre meno chiari, più insensati ed incoerenti , poi alcune immagini sbiadite, dei volti sorridenti, e altri no, parole sconnesse, poi di nuovo pensieri illogici e immagini sfocate, forse,  lontane nel tempo e nella memoria. Continuò a camminare così, dirigendosi verso un posto sconosciuto, un passo dopo l’altro, con la mente sempre più pesante e confusa e lo sguardo spento. A. sembrava persa, forse tra sogno e realtà, forse tra desiderio e paura, e non si sarebbe ritrovata molto presto. Aveva deciso di rimanere in quel vortice in cui nulla aveva senso, in cui nessuna regola avrebbe governato e controllato la sua mente. A. voleva essere libera. Ma aveva scoperto, forse troppo tardi, che la libertà ha un costo, che tutti dobbiamo perdere qualcosa se vogliamo essere liberi e che tutto ha un prezzo nella vita. Il suo era stato lei stessa.

(Track: comptine d’un autre été l’après midi)

Il Giovane L.

L. era uno di quei ragazzi che tutti definirebbero banalmente “normale”. Probabilmente per una forma fisica alquanto ordinaria e nessun segno così particolare da esser degno di nota. Nessuno, per quel che poteva sapere, aveva fatto grandi considerazioni su di lui ma non sembrava interessato a diventare qualcosa di più. In compenso però, era fascinoso, e si sa, se si ha fascino non serve chissà quale peculiare bellezza per essere notati. Aveva però una considerevole dote, che non definì mai tale finchè non si presentò l’occasione per utilizzarla: la pazienza. La maggior parte di noi odia essere paziente perché richiede un grande sforzo da parte del nostro autocontrollo nel bloccare gli istinti. Ma per L. la pazienza era un dono. Il più grande dono che la vita potesse dargli. Ogni giorno L. sedeva di fronte la finestra della sua stanza, leggendo un libro magari, ed aspettava. Aspettava che la ragazza di cui era perdutamente innamorato uscisse dalla porta della sua bizzarra casa blu, che si trovava proprio sull’altro fianco della strada. L. la vedeva ogni giorno dirigersi verso la scuola con quel suo fare un po’ misterioso, i capelli che le scendevano lungo il viso incorniciando la sua espressione corrucciata. Osservava ogni sua mossa,  riconosceva la sua andatura singolare quando ascoltava la musica con le cuffiette gialle che portava sempre con sé, e pensò che probabilmte quello era un aspetto che li accomunava perché la musica la trasportava, in maniera fin tropo evidente, in un mondo parallelo nel quale viveva solo lei,  proprio come lui stava rinchiuso nel suo piccolo mondo (la sua camera) ad osservarla. Adorava  il suo modo eccentrico e forbito di parlare, conosceva a memoria i posti che frequentava e la gente con cui parlava. Sapeva tutto di lei, ma per sua sfortuna, sapeva anche che non lo aveva mai notato. Un pomeriggio L. Si trovava seduto sulla solita poltrona davanti la finestra, intento a leggere “Il Giovane Holden” . Lettura interessante, se non fosse stato per il fatto che  la misteriosa ragazza, di cui sapeva tutto, si affacciò alla finestra. Era la prima volta che scostava le tende della sua camera per guardare fuori. Tutt’a un tratto L. realizzò che poteva essere visto anche lui, che adesso erano più vicini del solito e che non era più solo lui ad osservarla dall’alto mentre lei viveva, ignara, la sua vita. Adesso, anche lei poteva vederlo. Per la prima volta nella vita, L. si sentì scosso. Proprio come quando una violenta scarica di elettricità ti attraversa l’intero corpo. Era vulnerabile e per un interminabile istante ( o almeno questo è quello che sembrò a lui) smise di guardare verso di lei. Quando alzò nuovamente lo sguardo, i loro occhi si incrociarono. Lei sembrava curiosa e accennava un sorriso, probabilmente per l’imbarazzo. L. prese un bel respiro e le sorrise, per non sembrare scortese. Realizzò che gli occhi di lei fossero molto più belli da quella prospettiva e che il sole illuminava il suo viso perfetto rendendolo più affascinante del solito, ricredendosi sul fatto che  non potesse essere più bella di come la conosceva già. Da quel momento qualcosa era cambiato. Non sapeva cosa sarebbe successo dal quel giorno in poi, non sapeva se avrebbe mai avuto l’occasione di scambiare due parole con lei o di incrociare nuovamente i suoi occhi blu attraverso la finestra. Al momento, L. si accontentò di essere entrato nel piccolo mondo della ragazza  attraverso un fugace sguardo, che gli diede la speranza, adesso più concreta,  di rivedere i suoi occhi il più presto possibile.

Storia di V.

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Una fitta coltre di nubi calava sul giardino abbandonato quel pomeriggio. V. era seduta per terra, a gambe incrociate mentre una lieve brezza, che sapeva di foglie umide, le muoveva piano una ciocca di capelli. Gli alberi di pino intorno a lei delimitavano quell’area creando un cerchio quasi perfetto nel quale si sentiva misteriosamente al sicuro. Circondata dalla natura silenziosa, V. si concedeva di pensare in pace. Pensava a cosa avrebbe fatto della sua vita, cercava di capire chi fosse veramente … ed era confusa. Però, di una singola cosa era del tutto certa: sapeva di amare i limiti. Non perché dovrebbero garantire la sicurezza o perché ci evitano di sbagliare o per tutte le buone ragioni per le quali esistono i limiti. Niente di tutto questo. Li amava per l’opposto, per tutti i loro aspetti negativi che la intrigavano tanto. V. sapeva che soltanto superando i limiti avrebbe ritrovato se stessa. Tutte le volte che era vicina a superarne uno, V. sentiva la sua pelle elettrica, il cuore le premeva sul petto così forte da farle credere che stesse schizzando fuori, e un sottile sorriso spuntava sul suo viso, quasi inconsciamente, mentre i suoi occhi guardavano fisso il vuoto. Amava il brivido del rischio, amava la paura di sbagliare e l’adrenalina che le regalavano queste sensazioni. Desiderava ardentemente avvicinarsi alle cose sbagliate, perché erano quelle le più eccitanti. E Più era vicina, più la razionalità veniva a mancare, lasciando tutto il potere ad un pericoloso inconscio senza regole. Era sicura che andando oltre avrebbe scoperto il vero significato di ogni cosa in questa vita e non avrebbe  rinunciato a questa scoperta per nessuna ragione al mondo. Ricordò che una mattina la signora M. le aveva chiesto perché era così propensa al pericolo senza curarsi minimamente delle conseguenze. “Perché mi sento viva” aveva risposto V. E realizzò quella era la risposta più sincera che avrebbe potuto dare.

Riflesso

Ero davanti lo specchio della mia camera. Guardavo il riflesso perfetto della mia immagine e mi chiedevo quanto di vero ci fosse in quello che stavo fissando. Pensavo: lo specchio ha un solo compito, mostrarti ciò che ha davanti. E davanti c’ero io. Ma io non ero quella. Non ero quella che lui mi mostrava. A vedermi dal di fuori sembravo normale, a dire il vero. Eppure dentro di me bruciava qualcosa.  Perché questo lo specchio non lo mostrava? Bruciavo così intensamente che mi sembrava di sentire la pelle scottare, madida di sudore, accaldata … eppure il mio riflesso era perfetto, impeccabile. Sentivo l’elettricità che attraversava il mio corpo e avrei giurato che  stessi tremando se lo specchio non mi avesse mostrato il contrario. La vista iniziava ad appannarsi, sentivo le ciglia umide e gli occhi iniziavano a bruciarmi … ma nessuna lacrima veniva riflessa sul mio viso. Era come se nulla di quello che sentivo venisse espresso esternamente. Dentro piangevo, urlavo, tremavo, bruciavo. Fuori, nulla. Immobile, con le braccia stese lungo i fianchi, lo sguardo fisso di fronte a me. Un alito di vento entrava dallo spiraglio di una finestra vicina e mi rinfrescava il viso, incomprensibilmente pallido. Mi sentivo stanca, come se avessi corso per ore e il mio respiro era affannato (unica prova del fatto che dentro di me vi era una guerra in corso). La finestra si chiuse di botto, facendo un un rumore improvviso e riportandomi alla realtà. Il vento smise di soffiare e mi accorsi che ero rimasta lì immobile a fissarmi per troppo tempo. Spostai lo sguardo dall’altra me e uscì dalla stanza senza voltarmi indietro. Ero quella riflessa , non quella che sentivo dentro.

Dive into the deep

tumblr_mwh5jddnxa1sq0q13o1_500Sono seduta vicino al fiume,  il terreno è fresco e affondo le mani nel terriccio per inumidirle. Posso sentire persino la freschezza dell’acqua  per quanto sono vicina. Il sole è alto e mi scalda le ossa, sento che la temperatura sta aumentando. Inizio  a guardarmi intorno cercando delle grosse pietre per lanciarle. Poco dopo le pietre iniziano ad ammassarsi e il canale va lentamente deviando e rallentando, fa fatica a mantenere la sua solita strada… finché non si crea un vero e proprio bivio nel quale l’acqua deve necessariamente scontrarsi per poi dividersi. Il mio gesto aveva cambiato le cose. Quell’acqua prima scorreva dritta, senza nessun ostacolo. Adesso andava verso altre direzioni, solcava nuove vie nelle quali avrebbe viaggiato finché qualche altro evento non le avrebbe nuovamente cambiato strada. Penso che il nostro destino funzioni proprio come quel ruscello e ogni nostra scelta è una pietra che si posiziona sulla nostra strada. Ogni decisione che prendiamo nella vita ci porta verso una direzione precisa, precludendo però altre possibilità. Certo, non possiamo essere sempre sicuri di scegliere bene, c’è sempre il  rischio di fare qualcosa di sbagliato o che ci farà soffrire … ma non possiamo saperlo prima e il rischio fa parte della vita, è messo in conto. Cosa può succedere di brutto? Che quelle pietre ci facciano affondare e ci facciano mancare il fiato. Perché sì, può succedere. Ho fatto centinaia di scelte che mi hanno fatto mancare il fiato. Ma ho imparato  che ci sono momenti in cui non possiamo decidere solo in funzione di noi stessi … ci sono decisioni che non possono essere prese  per noi, ma per il bene di qualcun altro. E sono proprio quelle che ci fanno mancare il fiato fino a farci stare male. Il lato positivo è che per qualche ragione, a me sconosciuta, sono anche quelle che un giorno ci faranno sorridere e ci renderanno fieri di noi stessi.

In time

In_Time_2011Avete presente quando siete coricati sul letto e osservate il tetto della vostra camera, mentre miliardi di pensieri vi frullano per la mente? Ecco, io pensavo che troppe volte nella vita ci capita di perdere tempo. Perdiamo tantissimo tempo con persone che proprio non si meritano neanche 30 secondi della nostra giornata. Quando per la prima volta mi sono accorta di questo grande spreco che la gente fa senza neanche rendersene conto, ho deciso che non avrei mai più regalato il mio tempo a nessuno. I nostri minuti sono preziosi, potremmo passarli in compagnia delle persone più care  o facendo le cose che  più amiamo o inseguendo i nostri  sogni …. ma di certo non possiamo regalarlo così facilmente. Ahimè, devo ammettere che la più grande perdita di tempo al mondo sono proprio  le persone . Non tutte, certo, ma la maggior parte. Per l’esattezza parlo di quelli che  fingono, gli attori insomma. Si perché voi dovete sapere che gli attori non sono solo al cinema o a teatro: gli attori sono in mezzo a noi, insieme a noi, ogni giorno. Come riconoscerli? Sono quelli che dicono A e poi fanno B, sono quelli che ti  sorridono e poi dietro ti deridono, sono quelli che promettono ma non mantengono, sono quelli che fanno di tutto per tenerti vicino a loro senza alcuno scopo se non quello di farti perdere tempo. Per fortuna , a differenza di tutte le persone che conosco, ho coltivato una dote molto rara che mi è stata davvero utile ultimamente, ovvero il “distacco immediato”. Ho scoperto che nessuno è capace di attuarlo o almeno nessuno che conosco. E sapete …  sono così patetici quelli che ti danno mille scuse prima di allontanarsi da chi fa perdere loro solo tanto tempo. Così patetici!!! Forse perché io posso farlo in meno di una minuto e loro hanno bisogno di mesi. Rimane il fatto che sono ridicoli. Avete presente il film In time?  In cui tutti i protagonisti acquistano il loro tempo poter vivere un po’ di più e lo regalano solo a chi amano? ecco, il vostro tempo è troppo prezioso per perderlo dietro a degli attori dei quali non conoscete neanche il vero volto. Riprendetevelo.

” Conta solamente chi c’è”


Sapete cosa pensavo? Che pianificare non serve a nulla. Più cerchiamo qualcosa, più la desideriamo, più non la avremo mai. Penso che la differenza la faccia il nostro istinto, il nostro carattere, la nostra sensibilità. Quante volte nella vita vi è capitato di incontrare persone che facevano di tutto per mettersi in mostra solo per avere la possibilità di stare con qualcuno che ritenevano “speciale”, che volevano solo essere  più in vista? Persone vuote che puntano all’apparenza … io ne ho incontrate tante e ammetto che ti prendono, per un po’… finché non ti accorgi che c’è così tanto marcio in loro da far paura e allora ti allontani e cerchi di guardarti intorno. E così, diversi anni fa, quando ho iniziato a guardarmi intorno, la mia vita è cambiata. Ho scoperto che la vera ricchezza si esprime attraverso gli occhi e non con vestiti firmati o atteggiamenti sgarbati ed altezzosi. Ho incontrato persone che mi hanno cambiato la vita lasciando un segno dentro me.. e pian piano ogni piccolo segno ha contribuito a creare la persona che sono adesso. Penso di essere privilegiata perché non vivo di apparenze ma di sostanza. Vivo di relazioni reali, non sempre facili, alcune volte anche disastrate, ma reali, sincere …  ed è bellissimo. Bisogna combattere per le persone a cui teniamo, anche se al di fuori sembra sbagliato, anche se siamo da soli perché sono tutti contro di noi, bisogna combattere perché se vinciamo avremo la certezza di aver migliorato noi stessi. “Nel gioco conta solamente chi c’è”.