Tentativo trentaquattro

Londra, 16 Aprile 1991, 17:32 pm.

Ad aprile Londra è ancora in pieno inverno, l’aria è tanto gelida da bloccare i polmoni, si respira a fatica mentre si cammina per la città; ogni respiro sembra una lama che scende giù per la gola, o almeno era così che lo percepivo io quel giorno. Di fronte la fermata della metro un uomo infreddolito siede sul marciapiede bagnato dalla pioggia incessante, suona l’armonica, suona le moulin di Yann Tiersen. Sembra un film o la scena finale di un libro romantico. Mi fermo a guardarlo per qualche attimo, è solo, più infreddolito di me, non ha neanche un cappotto e non so perché ma sembra felice. Scendo le scale della metro di corsa lasciandomi alle spalle quella melodia; il brusio delle persone intorno a me crea il sottofondo perfetto per i miei pensieri. Entro nel vagone pieno di gente, si fatica a respirare anche qui, l’aria  è satura ma è tiepida; non mi siedo neanche perché la mia fermata è la seconda dopo questa. Alla mia fermata scendo per prima, corro fra la gente per uscire dai sotterranei della metro e mi incammino verso casa sua. Il freddo mi gelava le mani e tentavo invano di riscaldarle soffiandoci dentro, una nube di vapore denso usciva dalla mia bocca, ma le mani rimanevano di ghiaccio. Mi ero ripromessa che oggi sarebbe stata l’ultima volta che sarei passata sotto il suo balcone. Da tre mesi a questa parte avevo percorso quella strada ben trentatré volte e decisi che oggi sarebbe stata l’ultima volta. Non so esattamente cosa sperassi di vedere, di solito vedevo solo la luce accesa della sua camera ma non riuscivo mai a capire se lui ci fosse o meno. Nessun segno, nessuna ombra, non riuscivo mai a scorgerlo. Sapevo che tutto questo stava diventando un’ossessione, ma finché  non lo avessi visto probabilmente non mi sarei mai arresa.

Londra, 16 aprile 1991, ore 17:32, passo per la trentaquattresima volta sotto casa sua; guardo in sù verso il suo balcone, un piccolo bagliore attira la mia attenzione, mi fermo di colpo nel marciapiede, una passante mi urta il braccio, mi guarda infastidita per averle intralciato la strada, ma il mio sguardo è fisso in alto. Quel piccolo bagliore era lui; si stava accendendo una sigaretta come faceva spesso poggiato alla ringhiera del sul suo balcone. Il cuore mi stava scoppiando, non riuscivo a crederci, in quel buio io vedevo lui ma lui non poteva vedere me. Rimasi lì immobile per non so quanto tempo, cominciò a piovere, la gente accanto a me correva per ripararsi, per tornare a casa, le mamme tornavano cariche di sacchi di spesa per i loro bambini, uomini d’affari si ritiravano a casa dopo la faticosa giornata di lavoro; correvano tutti attorno a me, mi spingevano, mi bagnavano con i loro ombrelli zuppi d’acqua, ma il mio sguardo era fisso verso di lui che dopo quella sigaretta era andato via. Il buio era ormai calato completamente, la città era quasi deserta, la pioggia cadeva incessante su di me, sembravano spilli sul mio viso. Avevo i piedi fradici, le mani ormai non le sentivo più, i vestiti completamente bagnati si erano incollati al mio corpo ma il freddo che sentivo fuori era niente in confronto a quello che sentivo dentro. Solo quando attorno a me non c’era più nessuno e la città era svuotata decisi che era il momento di tornare a casa. Il mio corpo irrigidito mi seguiva a stento, ogni passo era più difficile, mi sembra di sollevare una montagna. Riuscii a prendere l’ultima metro della giornata; scendendo, l’uomo dell’armonica era ancora lì, era bagnato quanto me e non suonava più per gli altri, era seduto in un angolo con una sudicia coperta addosso e questa volta suonava per sè; le sue lente note accompagnavano i mie passi pesanti, il ritmo frenetico della città aveva lasciato spazio alla cadenza regolare di quella melodia che risuonava nel silenzio della notte e rimbombava nella mia mente.  Una dolce ninna nanna per la città stanca che piano piano si addormentava. 

Una parte di me

Era una di quelle notti di settembre che ancora profuma d’estate, l’aria era fresca e la città era silenziosa. Un lampione lontano illuminava la strada interrompendo il buio. Eravamo sedute sul nostro solito marciapiede, quello che ci conosce ormai bene perché raccoglie da sempre tutti i nostri segreti.

Sedute lì, ormai non sapevo più da quanto tempo, guardavamo il cielo scuro, e tutto, per qualche momento, sembrò perfetto.

“Ma ci pensi? “ disse S. rompendo il silenzio

“A cosa?”

“A queste stelle che ci guardano. È raro vedere in città tutte queste stelle”

“Chissà cosa pensano di noi, di quello che ci siamo dette stanotte” le dissi, e questa frase ci sembro così vera che per un attimo nessuna delle due aggiunse altro.

“ I segreti può contenerli solo la notte, le stelle sono abituate ad ascoltarci ” disse S sicura,

“Perché ?” Sorrisi chiedendole, senza smettere di guardare in sù

”Perché di notte tutto sembra magico. La notte è un’amica taciturna, che ascolta i tuoi pensieri finché hai voglia di raccontarglieli, senza mai interromperti. È la culla dei poeti innamorati e degli artisti. È di notte che nascono i pensieri più intimi, quelli che custodiamo gelosamente. Adesso chiudi gli occhi e respira, sentirai ognuno di loro: il poeta che scrive una poesia d’amore , le prime note di una canzone che sta nascendo, i sospiri degli amanti… e poi sentirai il tuo respiro, che come una dolce musica, rompe il silenzio ”.

Poi si alzò dal marciapiede e mi tese la mano per far alzare anche me

“che vuoi fare ?!” Le chiesi,

“Balla con me “.

Fine.

La musica nelle cuffie mi inondava il cervello ma era comunque  meglio del silenzio assordante che non mi avrebbe dato pace. Dopo non so più nemmeno quanto tempo, finalmente quel giorno era arrivato. Qualcuno la parola fine doveva pur scriverla e speravo solo di non dover essere io a farlo. Per mia fortuna il destino era stato clemente con me, ancora una volta, e mi aveva lasciato il tempo di abituarmi a questa perdita. Il giorno in cui tutto è finito ero pronta, sapevo cosa aspettarmi e l’ho accettato, come si accetta una sconfitta quando la tua squadra del cuore perde la partita più importante del campionato. Ed è anche un pò buffo, perché quando perdi qualcosa di vitale pensi che non ti rimanga più nulla di importante e invece una cosa importante ti rimane: I ricordi. Allora mi lasciai invadere dai ricordi che invece di raschiarmi l’anima come sempre, mi invasero dolci… e non provai nessun dolore, e non cadde nessuna lacrima sul mio viso. Solo un lieve sorriso si fece spazio lentamente mentre ero distesa sul letto a fissare il tetto sopra di me. Un sorriso che mi diede una pace rara, una di quelle che ti fa sospirare e ti fa perdere tra le tante immagini che la tua memoria tira fuori, rivedevo tutto quello che avevo vissuto e la musica che suonava nelle mie orecchie diceva tutto quello che avrei voluto dire io. Guardavo il film della mia vita mentre fuori calava il buio e in quel momento tutto era perfetto così, esattamente come quando si arriva alla fine di un film romantico e il regista decide che la musica renderà tutto più bello, ma la mia musica mi diceva “one life, but we’re not the same”, ed era esattamente così, abbiamo condiviso una vita ma siamo andati contro il destino perché siamo troppo diversi. Ti dirò la verità, ovunque tu sia: La fine mi aveva sempre spaventata, e una parte di me crederà sempre che questa non è ancora la fine, ma spero tanto che quella parte di me si sbagli, perché  in fondo io a finirla così ci sto: una bella canzone, tanti ricordi ed un sorriso appena accennato che significa solo “vai e non voltarti mai indietro”.

Endless

Sei come una ferita che non guarisce mai. Eppure dicevano che il tempo le guarisce tutte queste maledette ferite. Anche le più grandi, le più dolorose. Ma allora perché tu non passi? Perché non passi come tutte le altre ? Non so più se il tempo sia la medicina adatta al segno che lascerai su di me. E più grande diventa, più lo squarcio si allarga, più intenso sarà il dolore. Sarà straziante dover convivere con questo segno così evidente sia fuori che dentro di me. Avrei giurato di bruciare viva se mi avessero chiesto quanto male faceva. Avrei giurato di bruciare anche quando mi guardavi negli occhi. Ma allora, cosa si fa in questi casi? Quali medicine esistono? Se esistono.

Forse si, il tempo, un lungo ,interminabile, infinito lasso di tempo potrà alleviare il ricordo rendendolo lontano nello spazio e nella memoria; renderà tutto più sopportabile, come quando indossi gli occhiali da sole durante una calda giornata d’agosto. Ma sopportabile non significa leggero, non significa invisibile, non significa cancellato. Sopportabile è solo un termine che indica che quel male, per qualche assurdo motivo , farà soltanto un po’ meno male.

Attimi

E’ raro, rarissimo, ma ci sono momenti in cui  sembra di vivere in un sogno. Un brevissimo sogno in cui il destino, o chi per lui, riesce a far intrecciare la nostra vita con quella di qualcun altro. E’ come se camminassimo tutti in un unica enorme strada ma ognuno nella propria corsia. Tante strade diverse, alcune più dritte, semplici altre più tortuose, difficili, complicate da percorrere. Poi però dopo aver camminato a lungo in solitudine, vedendo gli altri camminare di fianco a noi, un giorno, giri l’angolo e qualcuno lo gira insieme a te … e per un piccolissimo infinitesimale secondo percorrete la stessa strada, calpestate lo stesso terreno, i vostri occhi si incrociano, due cuori battono all’unisono e due battiti diventano uno solo, per poi dividersi di nuovo. Nessuno sa perché le cose accadono, per quale ragione incontriamo determinate persone nella nostra vita e non altre, nessuno al mondo sa perché ad un certo punto la nostra strada e quella di qualcun altro si intrecciano … ma il bello, penso , stia proprio in questo. Camminiamo tutta la vita per poterci godere quel bellissimo infinitesimale secondo. 

Flashback

La paura mi serrò la gola. Respiravo a fatica, il cuore mi batteva talmente forte che pensavo mi uscisse dal petto da un momento all’altro. Restai perfettamente immobile, perché ogni movimento mi sembrava superfluo e avventato. Avevo già vissuto momenti simili in passato ma erano ormai così lontani nel tempo che la memoria li ricordava a stento. Era come se facessi tutto per la prima volta. Aspettai in piedi accanto la finestra della sua camera, fuori il buio della sera coprì la città di quel mistero che solo la notte possiede. La piccola lampadina vicino il letto era soffusa e la stanza poco illuminata sembrava più piccola. Respiravo così profondamente che un profumo nuovo mi invase le narici. Sapevo già che quel profumo non lo avrei dimenticato tanto presto. Lui Entrò in camera con una tranquillità che quasi mi infastidì, io stavo tremando mentre lui sembrava non provare nessuna emozione.
Pensai che forse era sempre stata questa una delle cose che amavo di lui, la consapevolezza che se c’era una persona al mondo capace di fare breccia nella sua apatia, quella ero io. Si sedette su bordo sinistro del letto rivolgendosi verso di me, si alzò il cappuccio della felpa grigia coprendosi tutta la testa arrivando quasi agli occhi e senza dire nulla si accese una sigaretta. Alzò gli occhi e mi fissò così intensamente che sentì il suo sguardo trafiggere qualcosa dentro di me e mandarla in frantumi. Deglutii rumorosamente, poi decisi di farmi coraggio e fare un passo verso di lui. Sapevamo entrambi cosa stava per succedere e quando mi avvicinai a lui vidi nei suoi occhi la stessa paura che avvertivo dentro me. O almeno così mi sembrò. Trattammo quel momento di silenzio con tutto il rispetto che necessitava.
In quei minuti, infatti, quello stesso silenzio avvolse ogni cosa e ripercorremmo tutta la nostra vita, tutte le scelte giuste e sbagliate, tutte le persone incontrate durante il nostro cammino, che in un modo o nell’altro ci portarono ad essere lì seduti sul bordo di quel letto uno di fianco all’altro. Poi il suo respiro affannato mise fine a quel vortice di pensieri che mi invadevano la testa. Finì di fumare quella sigaretta come se fosse l’ultimo appiglio per la salvezza. Ma sapeva bene che finita quella non si sarebbe salvato nessuno in quella stanza, nè lui nè tanto meno io. Spense il mozzicone ancora accesso nel posacenere freddo di cristallo e non potei fare a meno di pensare che la stessa cosa stava per accadere a noi, che fuoco e ghiaccio si fondessero insieme. Quel pensiero mi fece perdere il controllo e di colpo abbassai tutte le mie difese. Se dovevo cadere nell’oblio quanto meno dovevo farlo con stile, senza rimpianti.
Mi alzai di scatto e con un solo passo lo raggiunsi, lo afferrai dai fianchi facendolo voltare verso di me e finalmente i nostri occhi si incontrarono. Fu in quel momento che il mondo intorno a noi cessò di esistere. Adesso tutto era chiaro come non lo era mai stato.
Vidi tutte le sue certezze crollare miseramente per terra come un cumulo di macerie e nonostante avessimo entrambi i vestiti addosso eravamo finalmente nudi uno di fronte l’altra. Mi spinse verso la parete, prese il mio viso con entrambe le mani e mi baciò, con tutta la disperazione, la rabbia, la frustrazione e l’amore di cui era capace. Fu uno di quei baci che se potessero ti succhierebbero via l’anima dal corpo. Prese tutto di me e io lasciai che lo prendesse. Continuai a baciarlo per un tempo che sembrò lungo ma necessario, poi con forza cominciò a togliermi tutto di dosso, sfiorò ogni parte del mio corpo, ed ogni volta che mi toccava mi perdevo un po’ di più. Cominciai a spogliarlo con la stessa foga perché i vestiti erano ormai un impedimento, ma quando arrivai agli slip mi bloccò le mani di scatto e le tenne ferme con le sue. Si avvicinò lentamente e con le labbra ormai gonfie cominciò a sfiorarmi l’orecchio, scese piano e mi inumidì il collo con dei baci e poi tornò a fissarmi. Adesso il suo sguardo era cambiato, non era più perso, non era più disperato. Era accesso dello stesso fuoco che stava bruciando anche me.

Scudo nero

03:47 del mattino.

Avevo passato la serata a ridere come non facevo da anni. Seduta su una panchina mentre la città era ormai silenziosa. Si sentivano solo le nostre risate da qualche ora a questa parte, ogni tanto qualche passante solitario ci scrutava da lontano, ma nulla di più. Guardai i suoi occhi tutto il tempo perché sembrava che volessero dirmi qualcosa che però non ero sicura di poter comprendere. E lui era lì, seduto di fronte a me , e mi fissava … ed era così attraente e brillante che quasi non sembrava vero. Mi aveva sempre attirato il suo modo di fare così sicuro e sfacciato e quella sera mi sembrava più bello che mai sotto quell’unica luce proveniente da un lampione in fondo la strada. Riuscivo a vedere bene i suoi occhi che brillavano sotto il riflesso della luce ed il contorno delle sue labbra che ormai erano il mio punto focale. L’unica certezza  che avevo era che non potevo fargli capire i miei pensieri, non abbiamo mai avuto nulla, solo ottimi amici, eppure quella sera mi attirava tutto di lui … i suoi occhi , i suoi capelli scuri, le sue labbra carnose e  quel profumo che mi confondeva le idee tanto da stordirmi. Mi attirava ancora di più il fatto che, nonostante la notte avvolgesse i nostri corpi e ci nascondesse dagli sguardi curiosi della gente, non potevo avvicinarmi a lui. Era proibito e sicuramente sbagliato quello che stavo pensando in quel momento, quello che avrei voluto fare, ma più il mio inconscio tentava di bloccare i miei istinti e più il mio corpo si avvicinava al suo. Adesso eravamo così vicini che potevo sentire il sapore fresco della sua bocca mentre mi parlava e che mi attirava come le api sono attirate dal profumo del nettare su i fiori. Non riuscivo ad allontanarmi, ero incollata su quella maledetta panchina a dieci centimetri di distanza dal suo viso e avrei voluto scappare via da lì il più velocemente possibile per salvarmi, ma una piccolissima parte di me, difficile anche da individuare, non mi permise di andare via. Non so perché mi sembrò che il suo sguardo volesse sfidarmi, come se per me la situazione non fosse già abbastanza complicata. Sorrideva e si mordeva il labbro tutte le volte che faceva una pausa tra una frase ed un’altra, ed io avevo perso il filo del discorso già da tempo. E mentre mi sforzavo di non  commettere alcun errore, che non comprendesse ovviamente i miei pensieri,  alzò una mano e mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e nel farlo mi sembrò quasi che mi stesse accarezzando il viso. Era tutto fin troppo inverosimile, ma sapevo già che la notte era capace di rendere ogni situazione surreale  come fosse un sogno, e si sa , nei sogni possiamo fare ciò che vogliamo perché tanto la mattina dopo nessuno ci accuserà di nulla o ci chiederà spiegazioni. Perciò alzai gli occhi verso il cielo per l’ultima volta, mi assicurai che il buio e il silenzio ci facessero ancora da scudo e sorrisi tra me perché capii che anche questa volta la razionalità si era abbandonata all’istinto più puro. Tornai a fissare il suo viso senza nascondere le mie intenzioni, che adesso sembravano più chiare che mai, e lui mi sorrise come se avesse capito che finalmente avevo smesso di combattere contro i miei demoni. Mi avvicinai fino al punto di non ritorno e scoprii che la sua bocca sapeva di fresco proprio come avevo immaginato.

(Garrett kato – Take it Slowly)

117

Centodiciassette .

A. lo scrisse a lettere, al centro di un foglio bianco, nel bel mezzo della notte. Lo scrisse a lettere perché i numeri le sembravano troppo piccoli e banali, invece quelle 16 lettere esprimevano tutta la pesantezza che sentiva dentro, tutta l’importanza che quel numero aveva per lei. Centodiciassette erano i giorni passati dall’ultima volta in cui aveva parlato con lui, erano i giorni trascorsi dall’ultima volta in cui era stata felice. In tutti questi giorni più ricordava quell’ultimo momento e più la memoria la ingannava, facendole immaginare cose mai esistite e facendole dimenticare quelle realmente accadute… forse  aveva abusato degli unici ricordi belli che disponeva,  forse li aveva usurati a tal punto da renderli sbiaditi, quasi come se non fossero mai esistiti. Rimanevano solo momenti astratti di una memoria ormai perduta che il tempo portava lentamente via con sè. L’unica cosa che adesso le restava era quello stesso maledetto tempo che trascorreva inesorabile, allontanandola sempre di più da quell’ultimo attimo di effimera felicità. Ogni volta che la lancetta avanzava lei era sempre più lontana, ma quel rintocco era anche  l’unica prova che il tempo non si era arrestato come il suo cuore. Il tempo non ha pietà di nessuno pensò A. quando  guardava il vecchio orologio a pendolo appeso alla parete. Centodiciassette erano i passi che la lancetta aveva fatto alla volta della mezzanotte , o almeno erano quelli che A. aveva contato. Poi lì si era fermata, perché all’arrivo della mezzanotte sarebbe cambiato tutto, per l’ennesima volta. Sarebbe nato un nuovo numero che avrebbe vissuto nella mente di A. per le 24 ore successive, fino a che poi la morte non avrebbe colto di sorpresa, anche lui,  allo scoccare del nuovo giorno. Il suono del pendolo avrebbe inghiottito quel numero dandone vita ad un altro, non meno importante  e vulnerabile del precedente. Quel rintocco gelido e brusco avrebbe ridotto in cocci taglienti l’unico ricordo che ogni giorno A. ricostruiva, riguardava, consumava, distruggeva e riplasmava. Finché le lancette, come lame, non avrebbero lacerato quel ricordo, A. lo avrebbe osservato, consapevole del fatto che prima o poi sarebbe diventato cenere, sotto il taglio costante del tempo.

Riflessioni

Per quanto mi sia sempre sforzata di capire la mente umana mi sfuggono ancora troppi dettagli, troppe cose rimangono poco chiare, confuse , quasi inaccessibili. Una delle cose che ho sempre ritenuto meno chiare in assoluto è la reazione del nostro cervello agli avvenimenti che riteniamo “pericolosamente belli”. Insomma, come reagiamo quando, nonostante all’apparenza tutto sia perfetto, non riusciamo a trovare un errore o un difetto in una situazione prima vista perfetta. E’ come se non fossimo assolutamente capaci di essere felici, come se la felicità fosse sempre distante a causa di un difetto che spunta fuori proprio quando pensavi che tutto fosse perfetto. Sembra quasi che la nostra mente non sia capace di concepire la serenità , come se per sentirci completi dovessimo per forza trovare qualcosa che non va, e creare attorno ad essa un immenso problema per il quale sembra non esserci alcun rimedio. Per esperienza vi dico che chi assume un certo tipo di atteggiamento non si accorge mai di assumerlo, anzi, entra in uno stato di “rapimento” dalla realtà, in cui tutto il mondo è un immenso problema per il quale non esiste soluzione, anzi, la soluzione non si cerca neanche perché il bello è cullarsi nei problemi e farsi compatire e compiangere da chi ci sta intorno. Il discorso è certamente diverso, se non opposto, per chi un comportamento del genere lo subisce o lo vive passivamente. Dall’esterno un atteggiamento così pessimista e passivo risulta stancante e del tutto demotivante. Rende inutile ogni sforzo di chiarimento o discussione in quanto dall’altro lato c’è un ascoltatore sordo che non è assolutamente disposto a trovare alcuna soluzione perché trovarla vorrebbe dire risolvere il problema, e non avere più problemi vorrebbe dire avvicinarsi spaventosamente alla felicità … e questo non è ben accetto.

L’unica conclusione che sono riuscita a trarre durante questi anni è che esistono miliardi di persone diverse nel mondo, e tra queste anche chi non vuole essere felice. I motivi sono certamente molteplici , ed analizzarli tutti sarebbe impossibile ed improduttivo. L’unico consiglio che posso dare, quindi, a questi infelici cronici è di sforzarsi  di non trovare sempre il cosiddetto pelo nell’uovo, sforzarsi di vedere quel maledetto bicchiere mezzo pieno invece che  mezzo vuoto. Anche se spesso è estremamente difficile , sforziamoci di sorridere invece di stare male, discutere o arrovellarci sui problemi … vi assicuro che ogni minuto passato a sorridere vi cambierà la vita.

Utopia

La stanza era troppo buia per distinguere una qualsiasi forma, solo una luce soffusa proveniva da dietro il vecchio divano rosso di velluto su cui ero seduta; era un piccolo lume poggiato sul pavimento, probabilmente era fuori posto. Restai lì da sola  per lungo tempo mentre attorno a me due ragazze si davano da fare per abbellire la casa che con il tempo cominciò a riempirsi di gente. Dopo neanche un’ora l’alcol scorreva a fiumi e una nuvola di fumo rese la stanza ancora più buia e confusa.  Ero lì per un solo motivo e  sentivo il cuore esplodermi nel petto, o forse erano solo i bassi del brano house che mi rimbombavano dentro. Lo aspettavo, ma non lo vedevo da nessuna parte. Avevo bisogno di parlare con lui, di scrivere la parola fine a questa parte della mia vita e ricominciare … anche se sarebbe stato maledettamente difficile, era giusto così per tutti, e lo sapeva anche lui. Dopo qualche minuto lo vidi uscire dalla camera da letto in fondo al corridoio, si chiuse i bottoni della camicia sgualcita e dietro di lui una ragazza molto poco vestita lo salutò con un bacio ed andò via. Mi sentii avvampare ma dovevo mantenere il controllo perché non ero lì per quello. Gli andai in contro e mi fermai davanti a lui. Mi guardò negli occhi ma non sembrava sorpreso di vedermi lì. Prese un cocktail dal tavolo di fronte e lo bevve senza neanche prendere aria, sembrava che lo avesse  fatto perché sapeva a cosa stava andando in contro. “Perché sei qui?” fu l’unica cosa che mi disse ,  ma non riuscii a rispondere. Mi diressi verso la stanza dal quale era uscito pochi minuti prima e mi seguì. Con la porta chiusa la musica era più bassa ma il buio era più fitto. Lo feci sedere davanti a me sul letto e fissai  i suoi occhi neri per qualche istante prima avvicinarmi e abbracciarlo. Poggiò la testa sul mio petto e il suo profumo inondò la mia mente facendomi quasi dimenticare il motivo per cui ero lì. Mi avvicinai al suo orecchio e sapevo che non avrei potuto fare grandi discorsi perché la gola mi bruciava e sentivo già le lacrime agli occhi . ” Ti amerò per sempre” gli sussurrai all’orecchio e suonò come il più doloroso degli addii. Capì tutto e prima ancora che potessi scappare da lì, il suo viso venne rigato dalle lacrime più sincere che avessi mai visto e mi strinse così forte la mano da superare quasi il dolore che provavo al petto. Mi liberai dalla sua presa e l’ultima cosa che vidi prima di chiudere la porta alle mie spalle fu il suo sguardo smarrito. Uscì da quella casa finalmente libera,  consapevole di poter ricominciare zero , anche se una parte di me era persa per sempre.