Scudo nero

03:47 del mattino.

Avevo passato la serata a ridere come non facevo da anni. Seduta su una panchina mentre la città era ormai silenziosa. Si sentivano solo le nostre risate da qualche ora a questa parte, ogni tanto qualche passante solitario ci scrutava da lontano, ma nulla di più. Guardai i suoi occhi tutto il tempo perché sembrava che volessero dirmi qualcosa che però non ero sicura di poter comprendere. E lui era lì, seduto di fronte a me , e mi fissava … ed era così attraente e brillante che quasi non sembrava vero. Mi aveva sempre attirato il suo modo di fare così sicuro e sfacciato e quella sera mi sembrava più bello che mai sotto quell’unica luce proveniente da un lampione in fondo la strada. Riuscivo a vedere bene i suoi occhi che brillavano sotto il riflesso della luce ed il contorno delle sue labbra che ormai erano il mio punto focale. L’unica certezza  che avevo era che non potevo fargli capire i miei pensieri, non abbiamo mai avuto nulla, solo ottimi amici, eppure quella sera mi attirava tutto di lui … i suoi occhi , i suoi capelli scuri, le sue labbra carnose e  quel profumo che mi confondeva le idee tanto da stordirmi. Mi attirava ancora di più il fatto che, nonostante la notte avvolgesse i nostri corpi e ci nascondesse dagli sguardi curiosi della gente, non potevo avvicinarmi a lui. Era proibito e sicuramente sbagliato quello che stavo pensando in quel momento, quello che avrei voluto fare, ma più il mio inconscio tentava di bloccare i miei istinti e più il mio corpo si avvicinava al suo. Adesso eravamo così vicini che potevo sentire il sapore fresco della sua bocca mentre mi parlava e che mi attirava come le api sono attirate dal profumo del nettare su i fiori. Non riuscivo ad allontanarmi, ero incollata su quella maledetta panchina a dieci centimetri di distanza dal suo viso e avrei voluto scappare via da lì il più velocemente possibile per salvarmi, ma una piccolissima parte di me, difficile anche da individuare, non mi permise di andare via. Non so perché mi sembrò che il suo sguardo volesse sfidarmi, come se per me la situazione non fosse già abbastanza complicata. Sorrideva e si mordeva il labbro tutte le volte che faceva una pausa tra una frase ed un’altra, ed io avevo perso il filo del discorso già da tempo. E mentre mi sforzavo di non  commettere alcun errore, che non comprendesse ovviamente i miei pensieri,  alzò una mano e mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e nel farlo mi sembrò quasi che mi stesse accarezzando il viso. Era tutto fin troppo inverosimile, ma sapevo già che la notte era capace di rendere ogni situazione surreale  come fosse un sogno, e si sa , nei sogni possiamo fare ciò che vogliamo perché tanto la mattina dopo nessuno ci accuserà di nulla o ci chiederà spiegazioni. Perciò alzai gli occhi verso il cielo per l’ultima volta, mi assicurai che il buio e il silenzio ci facessero ancora da scudo e sorrisi tra me perché capii che anche questa volta la razionalità si era abbandonata all’istinto più puro. Tornai a fissare il suo viso senza nascondere le mie intenzioni, che adesso sembravano più chiare che mai, e lui mi sorrise come se avesse capito che finalmente avevo smesso di combattere contro i miei demoni. Mi avvicinai fino al punto di non ritorno e scoprii che la sua bocca sapeva di fresco proprio come avevo immaginato.

(Garrett kato – Take it Slowly)

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